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Il titolo di questa opera ci riporta alla mente quelle rotte commerciali, quei percorsi carovanieri che partivano dal mediterraneo verso la Cina e l’India. “Le vie della seta” sono oramai divenute, infatti, nell’immaginario collettivo, sinonimo di viaggi avventurosi verso spazi sconfinati e sconosciuti: vie che simboleggiano quel filo sottile dell’incontro tra due mondi, quello occidentale e quello orientale. Anche nelle opere di Rosa Spina veniamo introdotti in un viaggio dove lo spazio che attraversiamo è invaso da “fili” che ripercorrono vie immateriali, vie di ancestrale memoria. Tra le vie più familiari possiamo ricordare quelle storiche che vedono Catanzaro città in cui vive l’artista, protagonista, tra l’ XI e il XVIII secolo, delle rotte commerciali “attraverso le quali i ‘cathasariti’ (così venivano chiamati i tessuti catanzaresi) divennero famosi e apprezzati in tutta Italia e in parte dell’Europa per la loro alta qualità, per la raffinatezza dei disegni nonché per la bellezza e la lucentezza dei colori natura-li”. Così la tradizione tessile è stata alla base dell’economia artigianale della città di Catanzaro, e la lavorazione era demandata esclusivamente alle donne, le quali oltre a contribuire all’economia familiare potevano, attraverso la tessitura e la produzione raffinata dei damaschi, esprimere la propria creatività. Allora perché non pensare a Rosa Spina come una moderna “tessitrice d’arte” che esterna la sua creatività realizzando opere materiche? La tela diventa un pretesto dove appoggiare lembi di coperte tessute a vecchi telai di legno: trame di colori su letti dipinti a larghe pennellate.
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La materia in questo caso non è più l’elemento dirompente dell’opera, ma diviene essa stessa retaggio del passato. Le opere sono state definite come “dèfilages”: dal gesto che l’artista compie dopo aver ottenuto un frammento di tessuto, sottraendo gradualmente cioè alcuni fili da esso. Anche queste “rimanenze” vengono poi inserite sulla tela, come residui di un passaggio obbligato, caro all’arte contemporanea, che porta dalla costruzione di un oggetto (in questo caso di un tessuto) alla deco-struzione di esso, quasi ad arrivare all’origine da cui si era partiti: ai fili liberi.
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Gesto questo che ricorda lo strappo dei “décollages” del maestro Mimmo Rotella, amico della nostra artista e con cui si è incontrata molte volte per dialogare d’arte. In Rosa Spina, però, l’opera non è più un’“icona” della contemporaneità come poteva essere il manifesto pubblicitario, ma diviene un’icona della tradizione raccontata attraverso un linguaggio “moderno”; inoltre lo scarto (i fili sfilati) sono parte fondamentale dell’opera, che rimane come ultima testimonianza di tutto il procedimento de-costruttivo compiuto dall’artista. |
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Le quattro tavole del polittico formano una successione di mappe in cui osserviamo intrecci di “vie di seta” che portano alla conoscenza di strade più remote, individuabili ormai solo nella nostra memoria, ma che affiorano in quel gioco tra ordito e trama e si perdono di nuovo nello sfilacciarsi della materia al di fuori della composizione: fino a fuoriuscire, a volte, dallo spazio assegnato dei bordi della tela. |
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Laura Caccia (2007) |
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Dal Catalogo "Defilage" di Rosa Spina |
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